Energia Contemporanea – Rassegna Stampa – 19 ottobre – 16 novembre 2004

L’idea di presentare un gruppo di artisti in una serie di luoghi che appartengono all’articolazione della vita economica, sociale, produttiva, da parte di Contemporanea 2004 rappresenta il dispiegarsi di un’attenzione per il territorio e per la conoscenza che va al di là di un puro interesse di mercato o commerciale. La preziosa collaborazione di alcune interessanti gallerie italiane e di quattro istituti bancari si è dimostrata fondamentale per aprire uno spaccato alla creatività, che con fantasia e rigore professionale si affaccia al dialogo con la critica e con il pubblico, ma è spesso “rinchiusa” in luoghi specialistici, lontani dai flussi della grande opinione pubblica, che rimane distante da essi, senza che si instauri mai un vero scambio di dare e avere che porti alla comprensione di fenomeni che, a prima vista, appaiono estranei, quando non addirittura irritanti. Contemporanea 2004 da vita a questo esperimento con la piena convinzione che esso rappresenti un fattore positivo per lo sviluppo del mercato dell’arte e della cultura che ad esso è legato, e per il formarsi di un nuovo collezionismo che non punti soltanto sui valori sicuri, ma sappia anche scommettere sul nuovo che avanza, scontando quel margine calcolato di rischio che è il sale della vita. Gli artisti che qui si presentano hanno tutti le carte in regola per giocare la loro partita nel complesso mondo dell’arte contemporanea, i cui valori sono sempre nomadi e trasmigranti, e quindi vanno cercati e trovati nella diversità e nel confronto, elementi fondanti di ogni scelta matura.

Gilberto Tedaldi

Giuseppe Bertolino ha preso il volo, portato dalle ali di una qualità della pittura che è di tutta specchiata evidenza. Il suo ultimo lavoro si sta articolando per trittici che portano in dote una leggerezza e una manifestazione del colore, che lo pongono a livello della ricerca più avanzata, senza per questo slegarlo dai collegamenti con lo spirito della sua generazione. Bertolino è andato, sempre più, riducendo lo spazio concesso alla citazione naturalistica, fino ad azzerarlo o quasi, ma senza per questo cadere in una retorica artificiosità che confina e spesso sconfina con la debolezza dell’impianto dell’opera, che invece qui risulta solido, in grado di affrontare tutte le ingiurie del tempo e della ripetizione. L’astrazione è vista come una forza del linguaggio, aperto ad uno svolgimento delle sfumature, ma anche ai tagli netti, perché non sempre si può vivere nella contiguità e nella prossimazione, mentre a volte è necessaria la rottura, la decurtazione della fine di un’opera, perché una nuova realtà possa cominciare. Bertolino azzarda alla pittura quel tanto di dolcezza che gli è connaturata, ma anche le capacità di durezza a cui riesce ad attestare la forza della sua espressività.Giuseppe Bertolino recupera il meglio di tanta storia dell’astrazione, realizzando alcune volte una geometricità pura, con tagli squadrati dell’orizzonte pittorico, mentre altre volte lascia libero il fluttuarsi delle pennellate che tradiscono un segno quasi paesaggistico, riuscendo in entrambi gli esiti a superare il rischio della contaminazione e tradurlo in valenza espressiva, immettendo quel quid che genera le sensazioni, rendendo il privilegio della luce.

Francesco Gallo

LA PITTURA DI GUISEPPE BERTOLINO

C’è opposizione tra la stesura organica e fluttuante del colore e la sua scansione geometrica, sinuosamente sfumata pur nell’effetto di compattezza dell’insieme? Per chi sostiene l’univocità di un percorso pittorico ed una riconoscibilità invariata negli anni, il pensiero di un mutamento che appaia radicale è insostenibile, quasi s’affermasse che le arsi e le tesi della coscienza che muove all’espressione non possono mai risultare dialettiche. L’equivoco è costante, ed ogni artista lo sperimenta personalmente. Giuseppe Bertolino ha giocato con se stesso: le marine e l’infrangersi delle onde che hanno caratterizzato, insieme ai fuochi, gran parte della sua attività, avevano un riferimento caldo e avvertito nel ricorso ad un certo Romanticismo ordinato a suscitare il senso del sublime. Certo, Gericault non è passato invano e la memoria di tutto ciò che, evocato, muove ad una sublimazione del reale permane. La rassegna dell’artista forlivese al Castello Estense di alcuni anni fa, suggestiva nel suo totale avvolgimento nel blu che sprigiona il bianco come liberazione, era inserita in questo modello o, ancor meglio, nel desiderio di celebrare una costante del sentire poetico. Per questa mostra il passaggio è, come dicevo, apparentemente opposto: l’elemento scorrevole, denso e rappreso, è sostituito da campiture nette, delimitate e ritmate in un campo visivo che sembra apparentare Mondrian e Rothko. Cioè, la valorizzazione degli incastri geometrici e la perdita d’orizzonti nell’immersione di un unico colore. Che, giocato con gli altri, riconcilia le dispersioni e unisce poli solo superficialmente dicotomici. È un’urgenza di unità del cromo, di fermare lo sguardo oltre una cartesiana distribuzione degli spazi per verificare se il “calore” permanga in una pianificazione “chiara e distinta”. Siamo oltre la suggestione e, a mio avviso, in un passaggio importante della sua officina. Ho ammirato il coraggio, perché – e lo avevo manifestato – la sua identificabilità dei precedenti quadri poteva risultare scontata. Non immaginavo, e l’esito è stato una vera e propria sorpresa, un passaggio così strenuo. È chiaro che il punto di vista è determinante: per il sottoscritto, i salti espressivi sono necessari e fanno bene sia al cuore che alla mano. Ritrovarsi non è contemplare ciò che è acquisito, ma agire come se si fosse nuovi ogni mattino che ci è dato vivere.

Franco Patruno